ORO AL PREZZO DI 55.000 $?

La previsione di un uomo, tra follia e delle verità nascoste.

NOTIZIE EXTRA SUL LINGOTTO GIALLO - GOLD

Lorenzo Serio

7/20/20255 min read

Oro, Debito e Dedollarizzazione: le Rivelazioni Esplosive di Tavi Costa alla PDAC 2025

Una produzione della Mrcrescita Trading Academy

Introduzione

Alla PDAC 2025 di Toronto, cioè la più grande conferenza mondiale del settore minerario, l’atmosfera sembrava quella di sempre. Ma quando Otavio Costa, noto come Tavi, ha iniziato a parlare, l’intera sala si è zittita. Non era un panel come gli altri: quel che ha raccontato sapeva di briefing segreto più che di conferenza pubblica.

Dati rimossi dai canali ufficiali, numeri che sembravano filtrati da ambienti riservati. Si respirava tensione. Viene quasi da chiedersi chi abbia passato certe informazioni a Costa: documenti interni delle banche centrali? Qualche dipartimento del Tesoro? O forse fonti meno ufficiali, come servizi di intelligence o entità ancora più difficili da immaginare.

Fatto sta che Costa, con un tono tranquillo ma deciso, ha cucito un discorso che ha spiazzato tutti. Oro, debito americano, argento, sopravvalutazione del dollaro, bolla di Wall Street: tasselli di un puzzle che, messi insieme, raccontano una sola storia. Quella di un sistema, quello del dollaro USA, forse vicino al suo ultimo atto.

Oro e debito: un legame spezzato e valutazioni impensabili

Costa ha iniziato spiegando un dato tanto semplice quanto devastante: oggi il valore totale delle riserve auree degli Stati Uniti rappresenta appena il 2 per cento del debito pubblico federale. Negli anni Settanta si parlava del 17 per cento, negli anni Quaranta si sfiorava il 40. Era l’oro a garantire il debito americano. Oggi non è più così, praticamente non esiste più nessun legame.

Mentre il debito esplode senza freni, senza più alcun ancoraggio reale, le riserve auree di Washington restano lì, ferme, a coprire una porzione sempre più ridicola. Siamo a livelli storici mai visti prima.

E allora la domanda sorge spontanea: se gli USA volessero ripristinare almeno in parte quel collegamento, quanto dovrebbe valere l’oro? Costa non ha esitato a rispondere: per tornare ai livelli degli anni Settanta, circa 24.000 dollari l’oncia. Per recuperare i livelli della Seconda Guerra Mondiale, più di 50.000 dollari. Prezzi impensabili? Forse. Ma, avverte Costa, nei corridoi delle banche centrali questi numeri già circolano. Non come previsioni, ma come ipotesi di lavoro. Come ordini di grandezza possibili in un eventuale reset valutario. Il che, secondo lui, non è affatto impossibile.

L’oro americano: una leva geopolitica dimenticata

Oggi gli Stati Uniti custodiscono oltre 8.000 tonnellate di oro. Formalmente detengono la più grande riserva ufficiale al mondo. Ma Costa fa notare una cosa che pochi dicono: quella riserva non viene toccata né accresciuta da decenni. Mentre il resto del mondo corre a comprare oro, gli USA rimangono immobili. Una scelta che, secondo Costa, potrebbe rivelarsi un errore.

Da anni le banche centrali di mezzo pianeta stanno accumulando lingotti. Cina, Russia, India, Turchia, persino paesi insospettabili come la Polonia. Gli acquisti non si vedevano così alti dagli anni Settanta, ma la notizia è che gli USA restano fermi. Una dedollarizzazione silenziosa in corso, alla quale Washington assiste da spettatrice.

A detta di Costa, il giorno in cui la fiducia globale nel dollaro inizierà a incrinarsi, sarà proprio quella riserva aurifera a poter diventare l’arma strategica di Washington. Ma c’è di più: siamo sicuri che quell’oro esista davvero? Da quanto tempo non viene verificato pubblicamente? Da quanto tempo nessuno controlla cosa c’è realmente nei forzieri di Fort Knox? Qui Costa ha lanciato il sospetto più velenoso di tutti: che in realtà l’oro ufficialmente dichiarato dagli USA sia, in parte, solo un numero nei documenti. Un numero da fidarsi e basta.

Il super-dollaro, una bolla gonfiata al massimo

Altro passaggio chiave del suo intervento: il dollaro americano è sopravvalutato come non mai nella storia. Secondo Costa, oggi il biglietto verde vale più di quanto valesse nel 1933 o nel 1985. In entrambi i casi, la storia si concluse male: nel primo caso Roosevelt confiscò l’oro e svalutò la moneta, nel secondo fu necessario un accordo internazionale (il famoso Plaza Accord) per ridimensionare un dollaro troppo forte.

E oggi? Non c’è nessun accordo in vista. Nessuna cooperazione globale. Nessuna volontà, da parte degli Stati Uniti, di depotenziare il proprio dollaro. Ma la bolla è lì, visibile a chi sa guardare. Quando esploderà, e secondo Costa quel momento è inevitabile, il mondo assisterà a un crollo senza precedenti. E allora, dice lui, non esisteranno salvataggi internazionali: sarà fuga verso l’oro, le materie prime, gli asset tangibili. Sarà ogni nazione per sé stessa. Chi avrà comprato oro in tempo, chi avrà lasciato il sistema fiat prima della caduta, potrà dirsi salvo. Gli altri… no.

Argento: il cavallo di Troia del reset valutario

Ma la vera sorpresa dell’intervento è stata l’argento. Costa ha spiegato che, per anni, questo metallo è stato considerato solo un derivato dell’oro. Un fratello minore, un follower del metallo giallo. Eppure, oggi, l’argento rischia di rubare la scena. La domanda industriale cresce di anno in anno. Pannelli solari, batterie, elettronica. Il mondo moderno richiede sempre più argento. E l’offerta? Ferma. Le miniere non aumentano la produzione. Il risultato è un deficit strutturale che sta prosciugando le scorte mondiali.

Costa ha mostrato che il prezzo dell’argento è vicino a un breakout storico. Se supererà alcune resistenze chiave, potremmo assistere a un rally verticale. Non più un semplice metallo prezioso. Ma un asset strategico. E forse, nel grande reset valutario, sarà proprio l’argento il vero protagonista nascosto. Costa ha accennato anche a target di prezzo impensabili, ben oltre i massimi storici. Ma, come sempre, non ha dato numeri certi. Solo indizi.

La bolla tech di Wall Street: calma apparente prima del crollo

Ultima parte del discorso: Wall Street. Costa ha parlato di un mercato “drogato” dai flussi passivi. ETF e fondi indicizzati continuano a comprare azioni tecnologiche per inerzia. Le Magnifiche Sette, come vengono chiamate Apple, Microsoft, Google, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta, dominano l’indice S&P 500. Più salgono, più gli ETF le comprano. Più gli ETF comprano, più salgono. È una spirale che alimenta sé stessa.

Costa però ha fatto notare un dato inquietante: la concentrazione di mercato oggi è ai massimi storici. Mai, in passato, così pochi titoli hanno pesato così tanto sugli indici americani. E in queste condizioni, basta un singolo inciampo per far crollare tutto.

Il campanello d’allarme? Warren Buffett. Il celebre investitore, noto per la sua prudenza, sta vendendo azioni e accumulando cassa. Ha portato la liquidità della sua holding ai livelli più alti di sempre. Secondo Costa, Buffett sa. Sa che il castello di carte potrebbe crollare da un momento all’altro.

Crescat Capital, il fondo di Costa, si sta già muovendo: fuori dal Nasdaq, fuori dall’azionario USA, dentro oro, argento, materie prime, mercati emergenti. Lì, secondo lui, si nasconde il prossimo decennio di opportunità.

Conclusioni

Alla PDAC 2025, quella che doveva essere una semplice conferenza mineraria si è trasformata in qualcosa di diverso. Una lezione di geopolitica monetaria. Costa ha collegato l’oro sottovalutato, il dollaro sopravvalutato, il debito americano ormai fuori controllo, il rally nascosto dell’argento e la fragilità di Wall Street in un’unica narrazione.

Forse, una narrazione che molti non erano pronti ad ascoltare.

Mentre uscivano dalla sala, diversi partecipanti avevano un’espressione diversa sul volto. Come chi ha sentito qualcosa che non doveva sentire. Come se, tra oro e dollaro, tra lingotti e debito, qualcuno avesse appena svelato una verità proibita.