Siamo già in guerra e nessuno ce lo sta dicendo: l’Europa sull’orlo del collasso
Droni che piovono sui cieli, blackout pronti a spegnere intere città, gasdotti che possono saltare da un momento all’altro. Non servono più carri armati per distruggere un continente: la nuova guerra si combatte nelle reti elettriche, nei mercati e nelle nostre paure quotidiane.
CONTESTO EUROPEO
Lorenzo Serio
9/29/20254 min read


COME SI FA UNA
GUERRA NEL 2025?
Negli ultimi mesi l’Europa ha iniziato a respirare una tensione che non è più solo un rumore di fondo.
Non è soltanto propaganda, titoli urlati o retorica da talk show.
Si sente nella logistica, nelle rotte energetiche, nei server che rallentano, nelle sirene che non suonano.
A settembre tre jet russi sono penetrati per alcuni minuti nello spazio aereo estone senza transponder attivo.
Era una manovra breve, precisa, come un colpetto sul polso per misurare la reazione.
Qualche giorno prima, ondate di droni hanno oltrepassato i confini della Polonia, costringendo le forze aeree ad alzarsi e ad abbatterne alcuni.
Queste non sono invasioni tradizionali.
Sono provocazioni chirurgiche.
La NATO ha risposto aumentando pattuglie, radar e asset nelle basi orientali.
Operazioni e dispiegamenti mirati servono a mostrare che la soglia di reazione esiste.
Ma la risposta militare è solo un pezzo del quadro.
L’altra metà è quella che non si vede a occhio nudo.
Parliamo di infrastrutture critiche: gasdotti, terminali di rigassificazione, cavi sottomarini, sottostazioni elettriche.
Questi punti sono oggi più vulnerabili di quanto la gente immagini.
Un guasto su un cavo sottomarino interrompe reti di comunicazione e traffico finanziario.
Un’esplosione a una stazione di compressione gas manda in tilt forniture e fa schizzare i prezzi.
Questo è il nuovo teatro della pressione geopolitica.
Accanto a questo c’è il dominio cibernetico.
Attacchi DDoS coordinati, intrusioni mirate su SCADA, malware che dorme dentro server critici: tutto può paralizzare infrastrutture senza sparare un solo proiettile.
Un blackout urbano di 48 ore genera panico, interruzione dei servizi, problemi negli ospedali e perdita di fiducia nelle istituzioni.
La guerra informatica non lascia il fumo dei campi bruciati, ma lascia persone rovinate, salari persi, imprese in ginocchio.
C’è poi la dimensione economica e commerciale.
Dazi, sanzioni, blocchi logistici e manipolazioni di mercato sono strumenti che possono colpire l’avversario dove è più debole.
Abbassare l’affluenza di investimenti esteri, far crescere il costo del credito o interrompere forniture critiche sono modi per logorare senza combattere.
Le sanzioni sono armi a doppio taglio, ma quando ben mirate possono infliggere dolore politico reale.
Infine c’è la guerra dell’informazione.
Campagne di disinformazione mirate a dividere, creare sfiducia, amplificare movimenti estremi.
Non è un caso se sui social nascono narrative che colano come olio su focolai già caldi.
Il risultato è che una società divisa è più debole, meno capace di resistere a shock economici o attacchi esterni.
Ora analizziamo il perché la guerra convenzionale su vasta scala è ancora improbabile.I costi umani ed economici sarebbero colossali.
Una guerra totale distruggerebbe infrastrutture critiche anche in stati neutrali, interromperebbe catene di approvvigionamento globali e inchioderebbe il mondo in recessione.
La deterrenza nucleare è una barriera centrale: la logica del Mutually Assured Destruction tende ancora a frenare le spinte più estreme.
Per tutte queste ragioni molti attori preferiscono una strategia graduata, ripetuta, che test chiuse e aperture delle reazioni.
ELEMENTO NON CONTROLLABILE
Ma attenzione: l’elemento scatenante più pericoloso non è la strategia deliberata.
È l’incidente.
Un drone fuori controllo che cade su un villaggio.
Un intercettamento che uccide civili.
Un attacco che rovina una struttura critica con vittime.
Questi eventi possono cambiare il corso delle cose in poche ore.
La politica, l’opinione pubblica e i comandi militari possono reagire con emotività, e da una reazione emotiva si rischia di scivolare nell’escalation.
Facciamo ora un passo in profondità: come si costruisce una campagna di pressione ibrida, pezzo per pezzo.
Primo livello: sondaggio e raccolta informazioni.
Si raccoglie open source intelligence, si testano i sistemi di allerta, si fanno passare droni per misurare i tempi di reazione.
Si studiano i punti deboli logistici e si fanno piccoli test che non generano allarme globale.
Secondo livello: attacchi tecnici mirati.
Intrusioni cibernetiche per installare backdoor, attacchi ai sistemi di controllo industriale, sabotaggi di componenti non critici ma simbolici per verificare capacità d’azione.
Terzo livello: pressione economica e commerciale.
Manipolazione delle forniture energetiche, vere o minacciate; uso di relazioni commerciali per premere governi e gruppi di interesse; utilizzo della leva sanzioni per colpire circoli ristretti.
Quarto livello: offensiva informativa.
Fabrikare o amplificare storie per dividere, creare panico, minare fiducia nelle autorità.
Quinta e ultimo livello: azione cinetica limitata, come attacchi a obiettivi militari di seconda importanza o micro-sabotaggi reali per ottenere guadagni territoriali o politici.
Tutto questo rimane, spesso, sotto la soglia che giustificherebbe una reazione collettiva piena.
Eppure a ogni livello ci sono segnali che gli osservatori devono saper leggere.
Passiamo ora agli indicatori pratici che i tuoi studenti devono imparare a monitorare.
Indicatori geopolitici: aumento di voli militari, esercitazioni e movimenti logisti-ci su rotte sospette.
Indicatori energetici: anomalie nei flussi gas, manutenzioni improvvise, picchi di prezzo non spiegati da domanda reale.
Indicatori cibernetici: ondate di scansione verso infrastrutture critiche, aumento di campagna DDoS su provider nazionali, attività di gruppi APT noti.
Indicatori informativi: narrazioni coordinate emergenti su canali social, amplificazione da account fake, flussi di notizie discrepanti tra fonti istituzionali.
Imparare a leggere questi segnali significa insegnare agli studenti a distinguere pattern da rumore.
Un picco di prezzo del gas può essere causato da domanda effettiva o da manipolazione; la differenza si scopre guardando la congiuntura, i flussi fisici e le tempistiche degli ordini.
Un blackout isolato ha cause tecniche o è un attacco?
Qui entrano analisi forensi su log, ripetitività e correlazione con attività di gruppi noti.
Cosa può fare un paese come l’Italia in questo contesto?
Investire nella resilienza: rafforzare le infrastrutture critiche, diversificare le fonti energetiche, aumentare capacità di stoccaggio e infrastrutture di backup.
Migliorare la cyber-sorveglianza statale e privata: partnership pubblico-privato per la risposta rapida agli incidenti.
Rafforzare la comunicazione pubblica: messaggi chiari, tempestivi e credibili che tagliano la testa alle fake news.
Mantenere una politica estera coerente che sappia bilanciare deterrenza e diplomazia
La guerra di oggi non è più fatta solo di fronti e trincee.
È fatta di contratti commerciali, server mal configurati, timori energetici e timeline di disinformazione.
Capirla richiede strumenti multidisciplinari: geopolitica, economia, cyber-security, analisi dei media.
Leggere grafici dei prezzi, decodificare log di rete e capire un flusso informativo non sono esercizi teorici: sono abilità strategiche.
