Trump contro Powell: la battaglia segreta sui tassi che può cambiare l’America

Negli Stati Uniti i tassi d’interesse sono ai massimi da decenni e il nuovo presidente Donald Trump ha scelto di aprire la sua seconda era politica con un obiettivo chiaro: piegare la Federal Reserve e costringere Jerome Powell a tagliarli. Dietro le dichiarazioni ufficiali si muove un intreccio di pressioni, minacce velate e interessi personali che trasformano la politica monetaria in una vera e propria arma geopolitica. L’oro brilla, i mercati tremano, e il futuro dell’economia americana è più incerto che mai.

DOLLARO AMERICANO

Lorenzo Serio

9/8/20256 min read

Tassi d’interesse USA alle stelle: Trump pressa la Fed, possibili tagli in vista

Negli Stati Uniti i tassi di interesse sono ai massimi da oltre vent’anni, una stretta monetaria che sta rallentando l’economia e agitando i mercati. Dietro questa situazione c’è una storia fatta di pressioni politiche senza precedenti. L’attuale presidente Donald Trump, rieletto a novembre 2024, ha puntato il dito contro la Federal Reserve e il suo presidente Jerome Powell, chiedendo insistentemente di tagliare i tassi. In questo articolo ripercorriamo le dinamiche di queste pressioni, i retroscena che sono emersi, l’atteggiamento più istituzionale dell’amministrazione Biden e gli scenari futuri. Infine, uno sguardo agli effetti attesi, dall’economia ai mercati, compreso l’oro ora ai massimi storici, nel caso in cui davvero la Fed operi due tagli da qui a fine anno.

Trump contro Powell: pressioni senza precedenti sulla Fed

Sin dall’inizio della sua prima presidenza, Donald Trump si è mostrato ossessionato dai tassi di interesse. Nominò lui Jerome Powell alla guida della Fed nel 2018, ma presto iniziò a criticarlo duramente. Mentre la banca centrale alzava gradualmente i tassi per raffreddare un’economia surriscaldata, Trump temeva che ciò frenasse la crescita e il rally di Borsa di cui andava fiero. Pubblicamente lo si è visto attaccare la Fed come mai si era visto dai tempi di Nixon, definendo i banchieri “patetici” e “testardi” per non aver ridotto il costo del denaro. In un tweet del 2019 arrivò persino a insinuare che Powell fosse un “nemico” dell’economia americana al pari del presidente cinese Xi Jinping.

Le pressioni politiche di Trump sono state esplicite e insistenti. Nel 2018 e 2019, ad ogni occasione, comizi, interviste e soprattutto via Twitter, l’allora presidente reclamava tassi più bassi, invidiando apertamente i tassi zero o negativi di Europa e Giappone. Secondo Trump, la Fed “non sfruttava la vittoria” di un’economia forte. Invece di assecondare l’espansione, Powell la stava “soffocando” alzando il costo del denaro. Non sono mancate frecciate personali: Powell è stato definito da Trump un “incapace”. Questa campagna pubblica era qualcosa di insolito, poiché tradizionalmente i presidenti evitano pressioni così dirette sulla banca centrale per rispettarne l’indipendenza.

Retroscena dietro le quinte: minacce e tentativi di interferenza

Gli anni della prima presidenza Trump hanno rivelato retroscena inediti sui rapporti tempestosi con la Fed. Un episodio clamoroso, raccontato dall’ex Segretario al Commercio Wilbur Ross, risale al 2018: di fronte all’ennesimo rialzo dei tassi, Trump sarebbe esploso di rabbia, arrivando a insultare Powell come “idiota” e ordinando a Ross di chiamarlo immediatamente. La direttiva di Trump fu chiara: convincere Powell a invertire rotta, minacciando perfino la rimozione del presidente della Fed se non avesse smesso di alzare i tassi. Ross inizialmente obiettò, avvertendo che non si poteva minacciare un’istituzione indipendente, ma Trump insistette.

Stando al racconto, Wilbur Ross chiamò davvero Powell. Il presidente della Fed, sorpreso e innervosito, rifiutò però di discutere di mosse future: “Non sono tenuto a parlarne con lei e non lo farò”, avrebbe tagliato corto Powell chiudendo la telefonata. Poche settimane più tardi, complice anche un rallentamento globale, la Fed effettivamente cambiò approccio e interruppe i rialzi, passando nel 2019 a una serie di tagli preventivi. Mai prima d’ora un presidente USA aveva tentato così direttamente di ingerire nelle decisioni della Fed minacciando il suo presidente in carica.

Trump ha anche ventilato l’idea di silurare Powell. Pur sapendo che legalmente il presidente della Fed può essere rimosso solo per giusta causa e non per divergenze di politica monetaria, la Casa Bianca si informò sulla fattibilità di degradarlo dal ruolo di presidente. Trump pubblicamente negò di aver mai minacciato di licenziarlo, ma ribadì che “avrebbe il diritto di farlo”. Parallelamente, provò a piazzare uomini fidati ai vertici della banca centrale candidando figure politicamente allineate. L’intento era palese: circondare Powell di colombe pronte a votare per tagliare i tassi.

Dietro a tanta foga c’erano anche interessi personali. Da imprenditore immobiliare, Trump deteneva centinaia di milioni di debiti a tasso variabile. Ogni aumento dei tassi pesava direttamente sui suoi costi finanziari e riduceva il valore dei suoi immobili. Si stima che un punto percentuale in più gli costasse vari milioni di dollari l’anno di interessi extra. Insomma, Trump vedeva nella politica monetaria non solo un fattore macroeconomico, ma anche un dossier personale.

L’indipendenza della Fed e l’approccio di Biden

Le vicende dell’era Trump hanno riacceso il dibattito sull’indipendenza delle banche centrali. Powell ha sempre dichiarato che le decisioni del Federal Open Market Committee sono prese in base a dati e analisi obiettive senza considerazioni politiche. Nell’estate 2019, in un’audizione al Senato, assicurò: “Faremo sempre il nostro lavoro in modo trasparente e faremo ciò che è giusto per l’economia USA”, respingendo indirettamente le pressioni di Washington.

Con l’amministrazione Biden il clima è cambiato. Joe Biden ha adottato un approccio tradizionale: nessuna pressione pubblica sulla Fed e rispetto formale del suo ruolo. Anzi, ha confermato Jerome Powell per un secondo mandato nel 2022, segno di continuità istituzionale. Durante la recente fiammata inflazionistica post pandemia, la Casa Bianca si è tenuta alla larga dalle decisioni della Fed, limitandosi a dichiarare fiducia nell’operato di Powell.

Tassi ai massimi e speculazioni su tagli imminenti

Oggi i tassi di interesse negli USA si trovano su livelli elevatissimi, ai massimi dal 2001. Il costo del denaro grava su mutui, prestiti e finanziamenti sia per le famiglie che per le imprese. La crescita economica americana ha cominciato a rallentare, alcuni settori hanno subito contraccolpi forti e il timore di una recessione aumenta. Allo stesso tempo, l’inflazione, pur in calo, rimane sopra l’obiettivo del due per cento.

Cresce quindi la speculazione su possibili tagli dei tassi entro breve. Molti analisti prevedono che la Fed potrebbe iniziare ad allentare la politica monetaria già nei prossimi mesi se l’inflazione continuerà a rientrare e l’economia darà segnali di debolezza. Si parla della possibilità di due tagli entro fine anno, una prospettiva che i mercati finanziari stanno già prezzando.

Dal canto suo, Trump non ha perso occasione per ribadire la sua ricetta. Secondo lui la Fed avrebbe già dovuto tagliare in modo drastico. Se fosse per Trump, ci sarebbe un taglio immediato di vari punti percentuali. La pressione politica esterna dunque non è scomparsa del tutto, anche se non proviene dall’attuale amministrazione, bensì direttamente dal presidente in carica.

Effetti economici, fiscali, finanziari e geopolitici di un taglio dei tassi

Un allentamento monetario abbasserebbe i costi di finanziamento per famiglie e imprese, rivitalizzando la crescita. Tassi più bassi farebbero diminuire il costo del debito pubblico americano, riducendo il deficit di bilancio.

Uno scenario di tassi in discesa sarebbe accolto con entusiasmo da Wall Street. Le Borse tendono a festeggiare i tagli, il mercato obbligazionario vedrebbe un rally e la liquidità più abbondante renderebbe più attraenti molte asset class. Sul fronte geopolitico, una Fed più accomodante indebolirebbe il dollaro, aiutando le esportazioni americane ma influenzando anche i flussi finanziari globali. Molti Paesi emergenti respirerebbero grazie a condizioni finanziarie più lasche negli USA.

L’oro brilla: rifugio sicuro ai massimi storici

In questo contesto, l’oro sta vivendo un momento di gloria. Il prezzo ha aggiornato i suoi massimi storici di recente, segnando record su record. Gli investitori, fiutando un possibile cambio di politica della Fed, stanno incrementando la domanda di oro come bene rifugio. Tradizionalmente, l’oro tende a rafforzarsi quando i tassi d’interesse reali scendono e il dollaro si indebolisce.

Il fatto che la quotazione sia ai massimi storici suggerisce che il mercato sta già scommettendo su una Fed più accomodante. Se effettivamente i tassi verranno tagliati, l’oro potrebbe spingersi ancora più in alto, alimentato da un effetto pump.

Conclusioni

L’elevato livello dei tassi di interesse negli Stati Uniti ha aperto un nuovo capitolo nelle relazioni tra politica e banca centrale. Donald Trump ha infranto tabù decennali, cercando di piegare la Fed ai suoi voleri con pressioni pubbliche e private. La Fed di Jerome Powell ha difeso la propria indipendenza e l’amministrazione Biden ha riportato il rispetto formale dei ruoli.

Adesso l’attenzione è tutta puntata sulle prossime mosse della Federal Reserve. Con l’inflazione in raffreddamento e i timori di rallentamento economico, cresce l’aspettativa di vedere finalmente i tassi scendere. I due possibili tagli entro fine anno sono al centro delle discussioni di economisti e investitori.

Nel frattempo, il dibattito rimane acceso. Da un lato c’è chi, come Trump, invoca tagli immediati per dare respiro all’economia. Dall’altro ci sono i falchi che predicano cautela per evitare di perdere i progressi ottenuti contro l’inflazione. Powell dovrà bilanciare attentamente questi fattori.

Qualunque sarà la decisione della Fed, una cosa è certa. La saga dei tassi di interesse USA ha dimostrato quanto sia cruciale la fiducia nell’indipendenza della banca centrale. È un delicato gioco di equilibrio tra economia e politica. E mentre a Washington si discute, gli investitori mondiali, oro in cassaforte e occhi puntati sui comunicati della Fed, attendono il verdetto che potrebbe segnare la prossima fase dell’economia globale.

Testo e ricerche a cura di Lorenzo Serio della Mrcrescita Trading Academy