TUTTA LA STORIA ! USA - CINA - EU
Scopri i retroscena più oscuri e nascosti dell'attuale storia commerciale globale
Lorenzo Serio
5/13/202533 min read


Conflitto USACina : Storia di una Rivalità Geopolitica ed Economica Il rapporto tra Stati Uniti e Cina ha attraversato profonde trasformazioni dalla fine degli anni 2000 ad oggi, passando da fasi di dialogo e cooperazione a una competizione sempre più serrata su più fronti. In questo articolo ripercorriamo, in chiave narrativa ma accurata, l'evoluzione del conflitto geopolitico ed economico tra Washington e Pechino attraverso quattro amministrazioni americane consecutive: la presidenza di Barack Obama , quella di Donald Trump , la presidenza di Joe Biden e la seconda presidenza di Donald Trump.
Per ciascun periodo analizzeremo gli eventi chiave (con date precise), le strategie adottate da ciascun leader, il ruolo e la posizione dell'Unione Europea e le contromosse della Cina, evidenziando come ogni fase abbia gettato le basi per la successiva.
Presidenza di Barack Obama : Dalla Cooperazione alla Rivalità Strisciante All'inizio del mandato di Barack Obama nel 2009, le relazioni USACina erano caratterizzate da un mix di collaborazione e diffidenze. Obama ereditò un rapporto economico strettissimo la Cina era ormai il principale creditore degli USA e un partner commerciale cruciale ma anche tensioni latenti su commercio, diritti umani e sicurezza.
Nei primi anni, l'approccio di Obama fu improntato al dialogo: nell'aprile 2009, ad esempio, al G20 di Londra lavorò con il presidente cinese Hu Jintao per coordinare la risposta alla crisi finanziaria globale. In giugno 2013 Obama tenne uno storico summit informale con il nuovo leader cinese Xi Jinping a Sunnylands, in California, per costruire un "nuovo modello di relazioni" tra potenze .
I due leader discussero in modo franco questioni spinose come il cyberspionaggio (emerso dopo attacchi informatici cinesi a danno di reti governative USA) ed evitarono toni conflittuali: Obama definì gli incontri "terrificanti" (nel senso di positivi) e Xi parlò di "grandi potenzialità di cooperazione".
Nonostante questi gesti distensivi, però, già in questa fase si manifestavano i primi attriti strategici che sarebbero esplosi in seguito. Strategie USA:
A partire dal 2011 l'amministrazione Obama lanciò il cosiddetto "Pivot to Asia" (ribattezzato poi "Rebalance towards Asia"), spostando l'attenzione strategica dagli scenari mediorientali all'AsiaPacifico.
Questo riposizionamento annunciato ufficialmente dalla Segretaria di Stato Hillary Clinton nell'ottobre 2011 mirava a contrastare l'ascesa cinese rafforzando le alleanze USA in Asia e la presenza militare nella regione.
Washington promosse inoltre accordi economici multilaterali escludendo la Cina: ottobre 2015, ad esempio, venne concluso il negoziato della TransPacific Partnership (TPP) che riuniva Paesi dell'area AsiaPacifico ma non Pechino (accordo poi mai ratificato dagli USA).
Parallelamente Obama cercò il dialogo su temi globali: novembre 2014 Stati Uniti e Cina annunciarono congiuntamente a Pechino uno storico accordo sul clima impegnandosi a ridurre le emissioni, spianando la strada all'Accordo di Parigi del 2015.
Nel campo commerciale, pur senza i toni aggressivi del suo successore, Obama non mancò di prendere provvedimenti difensivi: già settembre 2009 impose dazi sulle importazioni di pneumatici cinesi, irritando Pechino, e nel maggio 2016 il Dipartimento del Commercio colpì con tariffe antidumping l'acciaio cinese.
Sul fronte della sicurezza, gli Stati Uniti iniziarono a reagire alle mosse assertive cinesi nel Mar Cinese Meridionale: il ottobre 2015 il cacciatorpediniere USS Lassen effettuò la prima operazione di freedom of navigation navigando entro miglia nautiche da un'isola artificiale cinese nelle Spratly, sfidando le rivendicazioni marittime di Pechino .
Questo evento avvenuto dopo mesi di deliberazioni interne all'amministrazione segnò l'inizio di una presenza militare USA più assertiva in quelle acque contese. Le mosse della Cina: Proprio negli anni di Obama, Pechino lanciò alcune iniziative strategiche di vasta portata che avrebbero rafforzato la sua influenza globale e preoccupato Washington.
Il presidente Xi Jinping annunciò nel 2013 la Belt and Road Initiative (BRI) la nuova Via della Seta durante visite ufficiali in Kazakistan e Indonesia . Questo megaprogetto infrastrutturale mirato a collegare Cina, Eurasia, Africa ed Europa attraverso investimenti in porti, ferrovie e strade ha attratto finora l'adesione di Paesi , espandendo la proiezione economica e diplomatica di Pechino. Nello stesso periodo la Cina creò nuove istituzioni finanziarie alternative a quelle a guida occidentale: nel ottobre 2014 lanciò la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), banca multilaterale per lo sviluppo infrastrutturale in Asia vista da Washington come una rivale della Banca Mondiale . Malgrado la contrarietà americana, nel marzo 2015 anche i principali alleati europei (Regno Unito, Germania, Francia, Italia) decisero di aderire all'AIIB, causando irritazione negli USA che parlarono di "accomodamento costante" verso la Cina.
Sul piano militare, la Cina iniziò un massiccio programma di costruzione di isole artificiali e basi militari nel Mar Cinese Meridionale (dal 2014 in poi), rivendicando la propria sovranità sulla gran parte di quelle acque strategiche. Pechino adottò anche piani industriali ambiziosi come "Made in China 2025" (annunciato nel 2015) per dominare le alte tecnologie, alimentando il timore americano di perdere il primato tecnologico. In sintesi, mentre Obama tendeva la mano sul clima e cercava un equilibrio tra contenimento e ingaggio della Cina, Xi gettava le basi di una Cina più assertiva sullo scacchiere globale. La posizione dell'Europa: Durante la presidenza Obama, l'Unione Europea mantenne un approccio in prevalenza pragmatico e orientato al business nei confronti della Cina, restando piuttosto ai margini del nascente confronto strategico USACina. Gli europei vedevano la Cina sia come mercato in espansione sia come possibile investitore salvifico in un periodo di crisi finanziaria.
Emblematiche furono le parole del premier cinese Wen Jiabao, il giugno 2011 a Berlino, quando offrì una "mano d'aiuto" all'UE acquistando titoli del debito pubblico dei Paesi in difficoltà : la Cina, con oltre 3.000 miliardi di dollari di riserve valutarie, si propose come "amico" dell'Europa in crisi, guadagnando buona volontà da parte di molti governi europei. In quegli anni l'UE siglò con Pechino una partnership strategica (i vertici bilaterali UECina si susseguivano annualmente) ed avviò nel 2013 i negoziati per un accordo comprensivo sugli investimenti (CAI). Allo stesso tempo, non mancavano tensioni commerciali specifiche ad esempio la disputa sui pannelli solari cinesi, con Bruxelles che annunciò dazi provvisori nel maggio 2013 e Pechino che minacciò ritorsioni sul vino francese, risolta poi con un compromesso ma l'Europa evitò di schierarsi in un'ottica di confronto sistemico con la Cina.
Un caso illuminante fu la reazione europea alla crescente militarizzazione cinese nel Mar Cinese Meridionale: dopo la sentenza dell'Aia del luglio 2016 che dava torto a Pechino nella controversia con le Filippine, i Paesi UE faticarono a concordare una posizione comune. Alla fine l'UE emise una dichiarazione molto attenuata che "prendeva atto" del verdetto e invocava il rispetto del diritto internazionale, senza nemmeno nominare la Cina, a causa dell'opposizione di alcuni Stati membri vicini a Pechino (come Ungheria e Grecia) .
Questo episodio mise in luce "ambiguità e assenza di una linea comune" europea: le maggiori potenze (Francia, Germania, Regno Unito) spingevano per sostenere l'ordine legale internazionale , mentre altri Paesi bloccavano iniziative critiche verso la Cina per non compromettere investimenti cinesi cruciali. In sintesi, nell'era Obama l'UE perseguì una via autonoma: cooperazione economica intensa con la Cina e solo timide prese di posizione sui temi sensibili, mantenendo un profilo basso nel confronto tra Washington e Pechino. Eredità: Verso la fine della presidenza Obama, benché le relazioni USACina fossero ufficialmente collaborative (si pensi all'accordo sul clima del 2014 e alla visita di Stato di Xi a Washington nel settembre 2015), i segnali di rivalità erano ormai evidenti.
La mancata convergenza su questioni commerciali strutturali (sussidi cinesi, accesso al mercato, cybersecurity), le tensioni sul Mar Cinese Meridionale e i timori USA per l'ascesa tecnologica di Pechino crearono un terreno fertile perché l'amministrazione successiva adottasse un approccio molto più duro. Allo stesso tempo, la riluttanza europea a schierarsi con gli USA contro la Cina durante il "pivot to Asia" lasciò Washington insoddisfatta del supporto UE, un fattore che avrebbe influito negli anni successivi sui rapporti transatlantici in materia di Cina. Presidenza di Donald Trump : Confronto Aperto e Guerra Commerciale Con l'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2017, la politica americana verso la Cina cambiò bruscamente registro, passando da un equilibrio cauto a un confronto aperto.
Trump, in campagna elettorale, aveva ripetutamente accusato la Cina di "stupro economico" ai danni degli Stati Uniti, imputandole pratiche commerciali scorrette, furto di proprietà intellettuale e la perdita di milioni di posti di lavoro manifatturieri americani. Una volta in carica, diede rapidamente seguito alla sua retorica con azioni concrete, inaugurando un periodo di tensioni senza precedenti sul piano economico e strategico. Strategie USA: L'approccio di Trump fu improntato al unilateralismo e al concetto di "America First". Dal punto di vista economico, egli avviò quella che è passata alla storia come la guerra commerciale USA Cina. Ecco una cronologia sintetica dei principali scontri commerciali tra Washington e Pechino durante il mandato Trump: gennaio 2017: appena insediato, Trump firma l'ordine esecutivo per il ritiro degli Stati Uniti dal TPP, segnalando il disimpegno dagli accordi multilaterali ereditati da Obama. aprile 2017: incontro tra Trump e Xi Jinping a MaraLago, in Florida. Il vertice è cordiale; si concorda un "piano di giorni" per ridurre il disavanzo commerciale USACina .
Tuttavia, i negoziati non producono svolte significative entro la scadenza concordata di luglio 2017.
Agosto 2017: Trump ordina un'indagine ai sensi della Sezione del Trade Act sulle pratiche cinesi riguardanti proprietà intellettuale e trasferimenti forzati di tecnologia . È l'anticamera di tariffe punitive.
Gennaio 2018: gli USA impongono dazi del 2050% su importazioni di pannelli solari e lavatrici (misure globali, ma la Cina essendo il primo produttore ne è il principale bersaglio) .
Marzo 2018: Trump annuncia dazi del 25% sull'acciaio e 10% sull'alluminio verso tutti i Paesi (Cina inclusa) . Pechino replica il aprile 2018 con tariffe fino al 25% su prodotti USA, colpendo soia, carne suina, aeromobili e altri beni .
Aprile 2018: la Casa Bianca pubblica una lista di importazioni cinesi per un valore di miliardi di dollari da tassare al 25%, come ritorsione per i furti di proprietà intellettuale . Il giorno seguente, aprile, la Cina risponde con dazi su miliardi di importazioni dagli USA, mirati a beni come auto, aerei e soia .
Giugno 2018: falliti i tentativi di negoziato, Washington conferma l'imposizione di dazi del 25% su miliardi di dollari di merci cinesi a partire dal luglio 2018, e annuncia prossimi dazi su ulteriori miliardi . Pechino immediatamente promette rappresaglie equivalenti . Allo scoccare della mezzanotte del luglio, la guerra dei dazi diventa realtà: entrambe le parti applicano tariffe su miliardi di export reciproco.
Luglio 2018: Trump, constatando la mancata resa cinese, minaccia tariffe del 10% su un altro paniere di miliardi di importazioni cinesi . 1º agosto 2018: Trump rincara la dose e alza al 25% l'aliquota prevista su quei miliardi .
Il confronto si inasprisce ulteriormente. agosto 2018: entrano in vigore dazi del 25% su ulteriori miliardi di merci cinesi, portando il totale tassato dagli USA a miliardi. La Cina simmetricamente applica dazi su miliardi di prodotti americani .
settembre 2018: gli USA impongono la tariffa del 10% sui famigerati miliardi di dollari di beni cinesi (da macchinari ad articoli di consumo); la Cina risponde con dazi su miliardi di beni USA .
Trump avverte che l'aliquota USA salirà al 25% dal 1º gennaio 2019 se non si raggiungerà un'intesa .
1º dicembre 2018: a margine del G20 di Buenos Aires, Trump e Xi trovano una tregua: gli USA sospendono l'aumento dei dazi dal al 25% previsto per gennaio, la Cina si impegna ad aumentare import di prodotti agricoli americani . Si apre così un periodo di negoziati intensi.
maggio 2019: il dialogo va in stallo; Washington accusa Pechino di aver rinnegato bozze di accordo . Trump l'10
maggio 2019 alza al 25% i dazi sui miliardi di import cinese (che erano al 10%) e ordina di preparare tariffe su ulteriori miliardi. Inoltre, il maggio 2019 il Dipartimento del Commercio inserisce Huawei nella blacklist (Entity List), vietando alle aziende USA di venderle componenti senza licenza . È l'inizio della guerra tecnologica: Washington motiva la mossa con rischi di sicurezza nazionale, colpendo il campione cinese del 5G . giugno 2019: al G20 di Osaka, Trump e Xi concordano di riprendere le trattative e "congelano" nuove tariffe. Trump annuncia una parziale apertura sul caso Huawei (che tuttavia rimane in lista nera), e la Cina promette acquisti agricoli aggiuntivi .
1º settembre 2019: poiché un accordo tarda a concretizzarsi, l'amministrazione Trump avvia dazi del 15% su una parte di ulteriori miliardi di beni cinesi (in particolare elettronica di consumo e abbigliamento), rimandando al dicembre 2019 l'imposizione sul restante per non colpire lo shopping natalizio. La Cina risponde con dazi del 510% su miliardi di import dagli USA e, in un gesto simbolico, l'5 agosto 2019 lascia svalutare lo yuan oltre la soglia di per dollaro spingendo il Tesoro USA a dichiarare la Cina "manipolatore di valuta" .
ottobre 2019: dopo nuovi incontri a Washington, Trump annuncia un "Phase One Deal" verbale: gli aumenti tariffari di ottobre vengono sospesi in cambio di un impegno cinese ad acquistare più beni agricoli . gennaio 2020: a Washington viene finalmente firmato l'Accordo di Fase Uno da Trump e dal vicepremier cinese Liu He . La Cina si impegna ad acquistare miliardi di dollari aggiuntivi di prodotti USA nel 2020-2021 rispetto ai livelli 2017 (obiettivo poi mancato per oltre il 40% ), e a migliorare tutela di proprietà intellettuale e accesso finanziario. In cambio gli USA riducono dal 15% al 7,5% i dazi su miliardi di import cinese e sospendono sine die quelli previsti su altri miliardi . Restano però in vigore tariffe del 25% su circa miliardi di beni cinesi segno che la pace commerciale è tutt'altro che completa. Come si evince, la guerra commerciale fu punteggiata da fasi di escalation e momentanee tregue.
Alla fine del 2020, nonostante l'accordo parziale, gli Stati Uniti mantenevano dazi punitivi su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi e la Cina su gran parte dell'export USA, sovvertendo decenni di integrazione economica. L'atteggiamento conflittuale di Trump si manifestò anche su altri fronti: impose sanzioni contro aziende tecnologiche cinesi (oltre a Huawei, colpì ad esempio ZTE, costringendola a pagare una multa a luglio 2018 per violazioni delle sanzioni, e minacciò il ban di TikTok e WeChat nel 2020), e varò restrizioni ai visti per studenti e ricercatori cinesi legati all'esercito. Sul piano retorico, esponenti della sua amministrazione (come il vicepresidente Mike Pence in un discorso d'ottobre 2018) iniziarono a dipingere la Cina come una "minaccia alla libertà nel mondo", sancendo di fatto l'avvio di una nuova competizione ideologica.
Crisi specifiche e Sicurezza: Oltre alla dimensione commerciale, negli anni di Trump le relazioni USA Cina vissero momenti di grave crisi diplomatica. Tra i più rilevanti vi fu la vicenda del consolato cinese di Houston, accusato da Washington di essere un centro di spionaggio: il luglio 2020 gli Stati Uniti ordinarono la chiusura immediata di quella sede diplomatica (un fatto senza precedenti dagli anni '70). Pechino reagì per ritorsione tre giorni dopo, il luglio 2020, imponendo la chiusura del consolato americano a Chengdu.
Nel giro di ore il personale statunitense lasciò Chengdu sotto lo sguardo di folla e media cinesi esultanti, mentre a Houston agenti federali USA fecero irruzione nel consolato vuoto scene da "guerra fredda" che illustrano quanto il clima fosse deteriorato. Intanto, il Congresso USA manifestava ostilità bipartisan verso Pechino su diritti umani: nell'ultimo anno di Trump, Washington sanzionò funzionari cinesi considerati responsabili della repressione degli uiguri nello Xinjiang (sanzioni del luglio 2020 in base al Global Magnitsky Act) e reagì alla stretta cinese su Hong Kong varando la Hong Kong Autonomy Act (14 luglio 2020) che revocava lo status commerciale speciale di Hong Kong. La Cina bollò queste mosse come "ingerenze inaccettabili" nei propri affari interni e rispose con controsanzioni simboliche contro politici americani. Sul fronte militare, la regione più sensibile fu di nuovo il Mar Cinese Meridionale e soprattutto Taiwan.
L'amministrazione Trump incrementò le forniture militari a Taipei (approvando ad esempio nel 2019 la vendita di caccia F16V) e intensificò i contatti diplomatici di alto livello con l'isola. In una mossa di rottura con il passato, nel gennaio 2021 il Segretario di Stato uscente Mike Pompeo eliminò formalmente le restrizioni autoimposte ai rapporti ufficiali USATaiwan, atto salutato a Taipei ma considerato provocatorio da Pechino . La Cina, d'altro canto, aumentò le incursioni aeree nello spazio di difesa taiwanese e la retorica nazionalista, sebbene evitò scontri diretti con le forze USA. Il calcolo di Trump sembrava essere quello di utilizzare Taiwan come leva di pressione massima sul governo cinese, senza però voler scatenare un conflitto aperto ipotesi che anche Pechino evitò, limitandosi a toni durissimi ma calibrando le proprie azioni.
Le mosse della Cina: Di fronte all'offensiva politicoeconomica di Trump, la Cina adottò una strategia duplice di resistenza e adattamento. Sul piano commerciale, dopo un iniziale smarrimento, Pechino reagì con fermezza proporzionale ma anche con prudenza: consapevole di esportare molto più di quanto importi dagli USA, non poteva pareggiare dollar for dollar le tariffe di Trump. Infatti, nel 2023 le esportazioni cinesi verso gli USA valevano $427 miliardi contro $147 miliardi di export americano verso la Cina . Ciò significava che ben presto la Cina avrebbe finito le merci su cui imporre dazi equivalenti, e inoltre alcune importazioni cinesi dagli USA (come semiconduttori avanzati, soia e Boeing) erano difficili da tagliare senza danno per sé stessa.
Non potendo vincere in campo tariffario, la leadership cinese adottò alcune contromisure strategiche: Diversificazione dei mercati: la Cina ridusse gli acquisti di prodotti agricoli americani sostituendoli con fornitori alternativi (ad esempio soia dal Brasile), e cercò di stimolare la domanda interna per attenuare la dipendenza dall'export verso gli USA. Inoltre, tagliò selettivamente le tariffe all'importazione da altri Paesi, nel tentativo di "isolare" gli Stati Uniti promuovendo il commercio con partner più disponibili.
Nazionalismo e resistenza: la propaganda cinese presentò i dazi USA come un attacco ingiustificato da parte di un bullismo americano, alimentando sentimenti nazionalistici. Xi Jinping, rivolgendosi ai quadri del Partito, esortò a "sviluppare lo spirito della Lunga Marcia" nella guerra commerciale, preparando la popolazione a resistere a tempi economici difficili pur di difendere la sovranità economica cinese. Investimento nella tecnologia domestica: l'offensiva americana su Huawei e sul trasferimento di tecnologia fece scattare l'allarme a Pechino sulla dipendenza dai fornitori occidentali. La Cina accelerò i piani per la autosufficienza tecnologica, investendo massicciamente nella produzione domestica di chip, software e tecnologie critiche (sebbene colmare il gap nei semiconduttori avanzati si stia rivelando arduo). A livello di policy, varò il programma "China Standards 2035" e potenziò il sostegno alle proprie aziende hightech, mentre Huawei iniziò a sviluppare sistemi operativi proprietari e alternative alle componenti americane. Diplomazia e accordi paralleli: significativamente, mentre gli USA si sfilavano dal TPP, la Cina promosse e nel novembre 2020 firmò la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) insieme ad altri Paesi dell'AsiaPacifico .
L'RCEP creò il più grande blocco commerciale al mondo (30% del PIL globale) con regole comuni e tagli tariffari tra nazioni asiatiche, Australia e Nuova Zelanda, ma escludendo gli Stati Uniti . Molti analisti lo interpretarono come "un colpo da maestro per la Cina", che riempiva il vuoto di leadership lasciato da Washington nella regione. Inoltre Pechino intensificò le relazioni bilaterali: ad esempio, marzo 2019, l'Italia divenne l'unico Paese G7 a firmare un memorandum d'intesa per aderire alla Belt and Road, seguita da accordi infrastrutturali con Grecia e porti nordeuropei.
La Cina presentava sé stessa come paladina del libero scambio celebre il discorso di Xi a Davos nel gennaio 2017 in cui difese la globalizzazione in contrapposizione al protezionismo trumpiano. Rafforzamento dei legami con la Russia e "asse euroasiatico": sebbene i rapporti sinorussi non fossero ancora l'alleanza quasi esplicita che diverranno in seguito, durante gli anni di Trump si consolidò un forte avvicinamento. Pechino e Mosca, accomunate dall'ostilità verso le sanzioni e la presenza USA, moltiplicarono esercitazioni militari congiunte e coordinamento diplomatico in sede ONU.
Per la Cina, avere un rapporto stabile con la Russia significava garantirsi risorse energetiche e un retroterra strategico, riducendo la pressione americana. (Da notare: un timore di Pechino era che Trump, volubile, potesse riallacciare con Mosca in funzione anticinese; ciò non accadde, in parte per vincoli politici interni negli USA ). La posizione dell'Europa: La stagione Trump mise in difficoltà l'Unione Europea, stretta tra un alleato americano imprevedibile e una Cina partner economico ma anche "rivale sistemico". Nel marzo 2019 la Commissione Europea adottò un lessico più duro verso Pechino, definendola ufficialmente "partner strategico, competitore economico e rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi" .
Era un cambio di paradigma: mai prima la Cina era stata chiamata rival a Bruxelles. Tuttavia, questa consapevolezza non sempre si tradusse in un fronte compatto. Da un lato, gli europei condividevano molte lamentele di Trump (sussidi statali cinesi, barriere di mercato, dumping industriale) e cercarono di coordinarsi con Washington in sede WTO per affrontare, ad esempio, l'eccesso di capacità siderurgica cinese.
Nel luglio 2018 UE e Cina istituirono una "joint working group" sulla riforma del WTO, segno della volontà europea di canalizzare il conflitto commerciale entro regole multilaterali volontà frustrata dall'unilateralismo di Trump. D'altro canto, l'UE condannò esplicitamente la guerra tariffaria di Trump: considerava le tariffe doganali uno strumento grezzo che violava le regole WTO e rischiava di danneggiare anche l'Europa (alcune esportazioni UE verso la Cina beneficiarono del rimpiazzo di beni USA colpiti da dazi cinesi, ma al contempo le filiere europee subirono l'incertezza e il calo della domanda globale). Bruxelles predicava la difesa di un sistema commerciale basato su regole e cercò di tenere aperto il dialogo sia con Washington sia con Pechino. Un evento emblematico fu la conclusione, il dicembre 2020, dei negoziati per l'Accordo Comprensivo sugli Investimenti (CAI) UE Cina.
Nonostante le perplessità espresse dalla squadra di Biden (allora presidente eletto), che avrebbe preferito un fronte transatlantico comune, Berlino e Parigi spinsero per chiudere l'accordo con Xi durante la presidenza di turno tedesca dell'UE, garantendo maggior accesso al mercato cinese per aziende europee. Ciò evidenziò la volontà europea di perseguire i propri interessi economici con la Cina indipendentemente dagli USA.
Allo stesso tempo, l'unità europea era fragile: settembre 2020 il Parlamento europeo adottò una risoluzione condizionando la ratifica del CAI a passi avanti sui diritti umani cinesi, e infatti dopo che marzo 2021 la Cina sanzionò parlamentari e accademici europei in risposta a sanzioni UE sullo Xinjiang, il CAI venne congelato (ci torneremo nel paragrafo successivo) e rimane in stallo. Su sicurezza e tecnologia, durante l'amministrazione Trump l'Europa mantenne posizioni intermedie. Sul 5G, ad esempio, gli USA fecero forti pressioni perché gli alleati escludessero Huawei dalle reti di nuova generazione; in UE uscì a gennaio 2020 una "toolbox" che indicava la necessità di limitare i fornitori ad alto rischio ma lasciava ai singoli Paesi la decisione finale.
Ne risultò un mosaico: la Gran Bretagna (non più nell'UE) inizialmente concesse un ruolo limitato a Huawei, poi nel luglio 2020 invertì rotta vietandolo del tutto nelle reti 5G entro il 2027; la Francia impose restrizioni senza un bando formale; la Germania tergiversò, temendo ritorsioni cinesi sull'industria automobilistica. La questione 5G illustrò bene l'ambivalenza europea: riconoscere i rischi di affidarsi tecnologicamente a Pechino, ma cercare di evitare schieramenti netti. Anche sui diritti umani, l'UE assunse alcune iniziative coordinate con gli USA (come le citate sanzioni di marzo 2021 su funzionari cinesi per Xinjiang, le prime misure europee di questo tipo dalla Tiananmen del 1989), ma subì contraccolpi che evidenziarono la mancanza di una strategia coerente e condivisa fra i 27. In sintesi, durante la presidenza Trump l'Europa navigò in acque difficili, cercando di preservare l'alleanza storica con Washington pur dissentendo dai metodi di Trump, e contemporaneamente di tutelare il rapporto economico con la Cina pur iniziando a percepirla come un rivale strategico.
Questa posizione ondeggiante fu vista con sospetto dagli americani (Trump accusò spesso gli europei di essere "peggio della Cina" sul commercio, minacciando dazi anche contro l'UE) e con scaltrezza dalla Cina, che tentò e talora riuscì a divider et impera gli occidentali. Marzo 2019, ad esempio, l'annuncio della Cina come "rivale sistemico" nei documenti UE fu seguito a ruota dalla visita di Xi in Italia e Francia: Roma abbracciò la Via della Seta, mentre Parigi (pur accogliendo Xi con tutti gli onori) coordinò un minivertice con Merkel e Juncker per presentare un fronte europeo unito a Xi segnali contrastanti che indicavano la fatica dell'Europa nel definire una linea comune . Eredità: La presidenza Trump lasciò un rapporto USACina profondamente logorato e carico di diffidenza reciproca. Gli anni 20172021 segnarono, secondo molti analisti, l'inizio di una "nuova Guerra Fredda" sui generis tra Washington e Pechino. Pur senza mai sfociare in scontro militare, il conflitto si estese dall'economia alla tecnologia, dalla diplomazia alla narrativa ideologica.
La "questione Cina" divenne centrale anche nella politica interna americana: vi era ormai un consenso bipartisan nel considerare la Cina la principale sfida strategica per gli Stati Uniti. Questo avrebbe significato, per l'amministrazione successiva, proseguire in qualche forma il confronto. L'Unione Europea, dal canto suo, uscì dalla stagione Trump più consapevole delle problematiche poste dalla Cina (dalle pressioni sulle infrastrutture critiche all'influenza politica nei Paesi membri), ma anche desiderosa di non trovarsi di nuovo impreparata di fronte a improvvisi cambi di rotta dell'alleato americano. Tutti questi elementi plasmeranno le dinamiche del periodo successivo. Il presidente USA Donald Trump stringe la mano al presidente cinese Xi Jinping durante un incontro bilaterale al vertice G20 di Osaka, giugno 2019.
La cordialità di facciata tra i due leader nascondeva tensioni crescenti: nel 2018 Trump aveva avviato la più grande guerra commerciale della storia moderna contro la Cina , imponendo dazi su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi. Presidenza di Joe Biden : Competizione Strategica e Alleanze Riaffermate Con l'insediamento di Joe Biden a gennaio 2021, molti in Europa e nel mondo si aspettavano un allentamento delle tensioni USACina dopo la turbolenta era Trump. In realtà, pur cambiando stile e tornando ad un approccio più multilaterale e prevedibile, la nuova amministrazione mantenne una linea di fondo assai ferma verso Pechino, definendo la relazione come quella di una "competizione strategica" da gestire evitando però il conflitto aperto. Biden considerava la Cina il principale concorrente sul lungo periodo, e il suo obiettivo dichiarato fu di "gestire la competizione in modo responsabile", cercando al contempo di ritrovare il coordinamento con gli alleati tradizionali.
Nei fatti, il quadriennio 2021/2025 vide un ulteriore irrigidimento della sfida USACina su tecnologia e influenza globale, complicato dallo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022 e dalle incognite geopolitiche che ne seguirono. Strategie USA: La Casa Bianca di Biden delineò sin da subito una strategia basata su due pilastri: rafforzare le alleanze e le coalizioni democratiche da una parte, e investire nel rinnovamento interno (infrastrutture, tecnologie, ricerca) dall'altra, per competere meglio con la Cina. Sul piano diplomatico, gli Stati Uniti tornarono a coinvolgere attivamente partner e forum internazionali: Marzo 2021: al primo incontro di alto livello tra la squadra Biden e i vertici cinesi ad Anchorage, in Alaska, gli USA rappresentati dal Segretario di Stato Antony Blinken e dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan misero sul tavolo in modo schietto tutte le controversie (dai diritti umani a Hong Kong e Xinjiang, alle coercizioni economiche cinesi). La riunione fu tesa: davanti alle telecamere Blinken parlò di "profonda preoccupazione" per le azioni cinesi, e il diplomatico cinese Yang Jiechi rispose accusando gli USA di ipocrisia, in uno scambio acceso che fece il giro del mondo .
Ciò stabilì il tono: Biden non stava cercando un reset con Pechino, piuttosto intendeva mostrare fermezza insieme agli alleati. Giugno 2021: al vertice NATO di Bruxelles, per la prima volta nella storia l'Alleanza Atlantica citò la Cina nel comunicato finale, definendone le "ambizioni e comportamenti assertivi" una "sfida sistemica all'ordine internazionale basato sulle regole". Pochi giorni prima, al G7 in Cornovaglia (Regno Unito), Biden aveva persuaso i partner a menzionare la necessità di consultazioni su Xinjiang e Hong Kong, e a lanciare un'iniziativa infrastrutturale globale (Build Back Better World) come alternativa democratica alla Belt and Road cinese.
Erano segnali della diplomazia USA volta a creare un fronte più coeso: la Cina veniva apertamente discussa nei consessi multilaterali occidentali come un problema condiviso. settembre 2021: gli Stati Uniti annunciarono insieme al Regno Unito e all'Australia la nascita di AUKUS, un nuovo patto di sicurezza nell'IndoPacifico incentrato sul supporto per dotare l'Australia di sottomarini a propulsione nucleare. L'iniziativa pur causando frizioni temporanee con la Francia, esclusa e privata di un contratto sui sottomarini convenzionali fu accolta con allarme da Pechino, che la interpretò come un passo chiaramente volto a contenerla militarmente nella regione. In parallelo, l'amministrazione Biden rivitalizzò il Quad (Dialogo Quadrilaterale sulla Sicurezza) con Giappone, India e Australia: il primo summit dei leader Quad si tenne virtualmente nel marzo 2021 e poi in presenza a Washington il settembre 2021, con focus su vaccini, tecnologia e libero IndoPacifico, tutti temi legati implicitamente alla competizione con la Cina. Alleanze tecnologiche ed economiche: Biden cercò di allineare gli approcci occidentali anche sul fronte tecnologico e commerciale.
Con l'UE avviò un Trade and Technology Council (TTC) inaugurato a settembre 2021, per coordinare standard e regole su export control, semiconduttori, AI e altro (non citava esplicitamente la Cina, ma la sua ombra era evidente). Nel maggio 2022, gli USA lanciarono inoltre l'IndoPacific Economic Framework (IPEF) includendo nazioni dell'area (tra cui India, Giappone, Corea del Sud, Australia e vari ASEAN) per cooperare su supply chain, norme digitali e ambientali anche qui, un tentativo di scrivere regole economiche regionali senza la Cina. Sul fronte interno, l'amministrazione Biden investì centinaia di miliardi con leggi come il CHIPS and Science Act (agosto 2022) per sostenere la produzione domestica di microchip e ricerca scientifica, e l'Inflation Reduction Act (agosto 2022) con massicci incentivi alle energie pulite Made in USA. L'idea era rendere l'America più competitiva e meno dipendente da forniture cinesi, accelerando la cosiddetta "de coupling" o per usare il termine preferito dagli alleati europei, "derisking" delle catene di approvvigionamento critiche. Guerra tecnologica e sanzioni:
Se la guerra commerciale di Trump aveva congelato parte dei dazi ma non li aveva eliminati (Biden li mantenne come leva negoziale), fu invece nell'ambito tecnologico e militare che la stretta americana proseguì e persino si intensificò. Una data spartiacque fu il ottobre 2022, quando l'amministrazione Biden emanò controlli all'export senza precedenti per bloccare l'accesso della Cina ai semiconduttori più avanzati e ai macchinari per produrli. Queste regole proibivano alle aziende americane (e ai cittadini USA) di fornire a imprese cinesi chip ad alte prestazioni o software e impianti per fabbricarli, nel tentativo esplicito di "rallentare il progresso militare cinese" e impedirle di dominare l'intelligenza artificiale.
Per rendere efficace il divieto, Biden impiegò il soft power diplomatico: nei mesi seguenti convinse anche Paesi chiave come i Paesi Bassi e il Giappone produttori dei macchinari litografici più sofisticati (ASML per i primi, Nikon e Tokyo Electron per i secondi) ad allinearsi.
Entro gennaio 2023 fu raggiunto un accordo segreto tra Washington, L'Aja e Tokyo per limitare le esportazioni di tecnologie per semiconduttori verso la Cina . Questo coordinamento senza precedenti segnò un duro colpo per Pechino, che dipende dalle apparecchiature olandesi per la litografia ultravioletta estrema necessaria ai chip di ultima generazione. La reazione cinese fu furiosa, parlando di "coercizione tecnologica", ma la capacità di ritorsione immediata di Pechino in questo campo era limitata (segnali di risposta arriveranno solo nel 2023 con restrizioni cinesi sull'export di materiali critici come gallio e germanio, mettendo in allarme i settori tech occidentali). In parallelo, Biden mantenne alta la pressione su questioni di diritti umani e influenza politica: a differenza di Trump, che personalmente tendeva a sorvolare su tali temi con Xi, la nuova amministrazione sottolineò i valori democratici. Nel dicembre 2021 Biden ospitò un Summit for Democracy e invitò Taiwan come osservatore, irritando Pechino. Nel marzo 2021 come già accennato coordinò con UE, UK e Canada le sanzioni per lo Xinjiang , a cui la Cina reagì sanzionando dieci tra eurodeputati e studiosi europei (tra cui membri del Parlamento Europeo come Reinhard Bütikofer), provocando come effetto collaterale la gelata del CAI.
Inoltre, Washington espanse la lista nera delle entità cinesi sanzionate per legami con l'esercito o coinvolgimento nella sorveglianza di massa (inclusa l'azienda di AI SenseTime, colosso della videosorveglianza). Sul fronte di Hong Kong, continuò la linea dura post2020, mantenendo le sanzioni a funzionari cinesi e revocando privilegi speciali all'excolonia.
Insomma, Biden rese chiaro che la competizione non era solo economica ma anche una sfida di valori tra democrazie e autocrazie, delineando quella che il suo team chiamò "competizione tra modelli di governance".
Crisi e momenti critici: Non mancarono in questi anni episodi pericolosi. Uno dei più gravi fu la crisi di Taiwan dell'agosto 2022: la visita a Taipei della Speaker della Camera USA Nancy Pelosi (la più alta carica americana a recarsi sull'isola in anni) scatenò un'imponente reazione militare cinese. Nei giorni successivi al agosto 2022, l'Esercito Popolare di Liberazione circondò letteralmente Taiwan con esercitazioni a fuoco vivo su larga scala, lanciando anche missili balistici che sorvolarono l'isola e caddero nelle acque circostanti . Fu un simile stress test delle linee rosse: Washington denunciò l'overreaction di Pechino ma, per evitare escalation, tenne a freno la propria risposta militare (limitandosi a inviare navi attraverso lo Stretto nei mesi seguenti per affermare il diritto di passaggio). L'episodio consolidò nel mondo la percezione di Taiwan come potenziale punto d'innesco di un conflitto USACina.
Biden, tra l'altro, provocò dibattito perché in quattro occasioni tra 2021 e 2022 dichiarò pubblicamente che gli Stati Uniti avrebbero difeso militarmente Taiwan in caso di aggressione cinese affermazioni poi "camminate indietro" dal suo staff ribadendo l'adesione alla One China Policy.
Nonostante la "ambiguità strategica" ufficiale non fosse cambiata, Pechino diffidava delle parole di Biden ed era convinta che gli USA stessero erodendo la sua sovranità su Taiwan. Un altro evento notevole fu l'incidente del "pallone spia": a inizio febbraio 2023, un aerostato cinese ad alta quota attraversò i cieli continentali degli Stati Uniti (sorvolando anche installazioni militari sensibili). Il Pentagono lo identificò come pallone per ricognizione e, d'intesa con Biden, lo abbatté sull'Atlantico il febbraio 2023.
La vicenda fece naufragare sul nascere un tentativo di disgelo il Segretario Blinken annullò in extremis un viaggio a Pechino previsto proprio in quei giorni. Ciascuna parte accusò l'altra di malafede: Washington additò l'intrusione come flagrante violazione della sovranità (Blinken a giugno 2023 parlò di oltre Paesi spiati dai palloni cinesi), mentre Pechino sostenne la tesi improbabile del "pallone meteorologico fuori rotta" e denunciò l'abbattimento come una reazione eccessiva. In mezzo a queste tensioni, Biden e Xi cercarono comunque di stabilire canali di comunicazione per gestire i rischi. I due leader si parlarono per telefono/videocall diverse volte durante la pandemia (Xi non viaggiò all'estero per quasi due anni).
Finalmente, novembre 2022, si incontrarono di persona a Bali prima del G20: la foto della loro calorosa stretta di mano in apertura del summit segnò un momento di distensione . Il meeting di Bali durò oltre tre ore e produsse un impegno reciproco a riaprire il dialogo su temi come il clima, la stabilità finanziaria globale e persino alcune comunicazioni militari . Biden ribadì a Xi che "una nuova Guerra Fredda non è necessaria" e che gli USA non cercano di cambiare il sistema cinese, mentre Xi disse chiaro che "Taiwan è la prima linea rossa da non oltrepassare" . Pur senza svolte sostanziali, quell'incontro abbassò per qualche mese la temperatura, finché appunto la crisi del pallone nel 2023 congelò di nuovo i rapporti.
Verso la fine del 2023 ci furono altri sforzi diplomatici: visite a Pechino del Segretario al Tesoro Janet Yellen (luglio) e di Blinken (giugno) per mantenere aperto il dialogo economico; e a novembre 2023 Xi Jinping si recò negli USA per il vertice APEC a San Francisco, incontrando Biden con toni relativamente positivi (si ripristinarono i contatti militari e la Cina prese impegni sul contrasto ai precursori del fentanyl che inondano l'America).
Questo stopandgo diplomatico evidenziava comunque la fragilità dei canali di comunicazione tra due rivali strategici: bastava un incidente per farli saltare, e ricostruirli richiedeva tempo e volontà politica. La posizione dell'Europa: Durante la presidenza Biden, l'Unione Europea si trovò più in sintonia con Washington sul tema cinese rispetto all'era Trump, ma al contempo affrontò la sfida di definire una propria politica strategica. Un fattore chiave fu la guerra scoppiata in Europa: febbraio 2022 la Russia invase l'Ucraina, dando avvio al conflitto più grave sul suolo europeo dal 1945.
Questo evento influenzò indirettamente il triangolo USAUECina. Gli Stati Uniti guidarono la risposta occidentale pro Kyiv, cementando una straordinaria unità transatlantica di intenti. L'UE, scossa dall'aggressione russa, riscoprì l'importanza dell'ombrello di sicurezza americano. In questo contesto, l'atteggiamento della Cina che si dichiarò "neutrale" ma di fatto appoggiò diplomaticamente Mosca (rilanciando la propaganda russa, condannando le sanzioni NATO, e stringendo con Putin una partnership definita "senza limiti" il febbraio 2022, poche settimane prima dell'invasione) suscitò profonda diffidenza in Europa.
I leader UE iniziarono a temere un asse autoritario PechinoMosca, con la prospettiva di una guerra fredda globale blocco democratico vs blocco autocratico. Ciò li avvicinò alle posizioni americane su molti dossier: ad esempio, nel giugno 2022, la NATO nel suo nuovo Concetto Strategico ha definito per la prima volta la Cina una sfida "ai nostri interessi, sicurezza e valori", quasi riecheggiando la formulazione UE del 2019. Tuttavia, le dissonanze intraeuropee persistevano. Nel aprile 2023, il presidente francese Emmanuel Macron recatosi a Pechino insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen dichiarò che l'Europa non doveva essere "vassalla" degli USA né "farsi trascinare" in crisi non sue, come Taiwan, invocando una "autonomia strategica" europea.
Queste parole, pronunciate al ritorno dalla Cina, provocarono reazioni contrastanti: da un lato riflettevano un sentimento diffuso in alcuni ambienti europei di evitare il decoupling estremo con Pechino e mantenere aperto il dialogo economico; dall'altro vennero criticate come un indebolimento dell'unità occidentale di fronte alle sfide poste anche dalla Cina.
In effetti, la difficoltà dell'UE nel trovare una voce univoca su Pechino continuava. Ad ogni modo, vi furono significativi passi avanti: la Germania, Paese UE più economicamente esposto verso la Cina, elaborò nel 2023 una nuova strategia nazionale definendo la Cina "partner, competitor, rival sistemico" ma invitando a ridurre le dipendenze critiche (la cosiddetta "Risikominderung", riduzione del rischio, versione tedesca del derisking). La stessa presidente von der Leyen, in un importante discorso al Mercator Institute di Berlino il marzo 2023, delineò la linea europea: "derisking, not decoupling" .
Ciò significa che l'UE non punta a rompere i legami economici con la Cina considerato impossibile oltre che dannoso ma vuole evitare vulnerabilità strategiche in settori come energia, materie prime critiche, tecnologia avanzata e investimenti sensibili. In pratica, l'Europa negli anni di Biden ha adottato varie misure in questa direzione: ha emanato un regolamento sul controllo degli investimenti esteri (screening) e uno contro le coercizioni economiche, ha lanciato la strategia Global Gateway per offrire ai Paesi emergenti finanziamenti alternativi alla BRI cinese, e ha iniziato a discutere di restrizioni all'export di tecnologie dualuse (ad esempio aderendo, come visto, alle limitazioni sui macchinari per chip ASML).
Nel frattempo, sul fronte commerciale, l'UE e la Cina mantennero un robusto interscambio: nonostante pandemia e tensioni, la Cina rimase nel 2021-2022 il primo partner commerciale dell'UE (oltre miliardi di euro di interscambio annuo). Ma l'idillio è incrinato: pesano i reciproci sospetti (anche aziende europee in Cina lamentano ambiente meno aperto e pressione politica). Un episodio simbolico: novembre 2021 la Lituania, membro UE, permise a Taiwan di aprire un ufficio di rappresentanza a Vilnius col proprio nome; la Cina reagì con veemente ritorsione economica (bloccando l'import lituano e perfino merci di altri Paesi contenenti componenti lituane).
La Commissione UE nel gennaio 2022 portò la Cina davanti al WTO per queste coercizioni, mostrando volontà di proteggere gli Stati membri bersagliati dalle pressioni cinesi. Ma alcuni governi, come l'Ungheria, continuarono a porsi come possibili "veto players" su decisioni UE sgradite a Pechino (Budapest ad esempio accolse calorosamente investimenti cinesi in infrastrutture e ostacolò dichiarazioni UE sulla Cina).
In sostanza, con Biden alla Casa Bianca l'Europa ha ritrovato consultazione e coordinamento con Washington su molti aspetti della questione Cina dalle sanzioni sui diritti umani alla sicurezza tecnologica ma cercando di evitare un completo allineamento che sacrifichi i propri interessi economici. L'invasione russa dell'Ucraina, avvicinando Europa e America sul piano valoriale, ha paradossalmente evidenziato l'ambiguità cinese, spingendo anche Paesi inizialmente accomodanti (si pensi alla svolta di Paesi come la Repubblica Ceca o la Svezia, un tempo aperti alla Cina, oggi molto più scettici) verso posizioni più critiche.
L'UE però non ha interesse in una nuova guerra fredda: il suo obiettivo dichiarato è mantenere la competizione con la Cina entro margini pacifici e cooperare dove possibile su sfide globali (cambiamento climatico, salute, sviluppo). Questo la porta talvolta a sottolineare differenze di tono rispetto agli USA preferendo parlare di "rivalità sistemica" e "riduzione dei rischi" piuttosto che di "confronto tra democrazie e autocrazie" e a mantenere aperto un filo di dialogo con Pechino (nel aprile 2022 si tenne un summit virtuale UECina in cui però i leader europei manifestarono "delusione" per la posizione cinese sulla guerra in Ucraina, ottenendo risposte evasive da Xi). Le mosse della Cina: Nei confronti della nuova coalizione guidata da Biden, la Cina alternò momenti di sfida a mosse diplomatiche volte a evitare l'isolamento.
Col percepito "accerchiamento" americano (AUKUS, Quad, NATO, G7), Pechino intensificò gli sforzi per costruire un proprio blocco di influenza: "Nolimits partnership" con la Russia: Xi Jinping e Vladimir Putin si incontrarono a Pechino il febbraio 2022, poche settimane prima dell'invasione dell'Ucraina, e proclamarono che l'amicizia tra Cina e Russia "non conosce limiti". Pur non essendo un'alleanza militare formale, questo asse divenne il fulcro di un contrappeso all'Occidente. Durante la guerra, la Cina sostenne economicamente Mosca aumentando l'import di energia russa (a prezzi scontati) e fornendo tecnologia dualuse, pur evitando di oltrepassare la linea rossa della fornitura diretta di armi pesanti. Pechino si posizionò come potenza equidistante che chiede pace ma senza condannare l'aggressore.
Ciò le permise di presentarsi al "Sud globale" come alternativa al fronte occidentale, attirando Paesi che diffidano dell'Occidente (molti in Africa, America Latina e Asia hanno apprezzato la narrativa cinese antisanzioni). Per la Cina, la crisi ucraina fu anche un banco di prova per eventuali sanzioni occidentali future contro di lei: intensificò gli sforzi per ridurre l'uso del dollaro negli scambi (promuovendo pagamenti in yuan con partner come India, Brasile, Medio Oriente) e per costruire sistemi finanziari paralleli (sviluppo del sistema CIPS per pagamenti internazionali in yuan, in alternativa a SWIFT). Diplomazia attiva nel Sud globale: in risposta all'accusa occidentale di essere una potenza revisionista, Xi lanciò nuovi concetti di governance globale.
Nel aprile 2022 presentò la Global Security Initiative (GSI), che rifiuta le "alleanze da guerra fredda" e promuove un'idea di sicurezza indivisibile (in chiave proRussia, intendendo che NATO e USA sono colpevoli di minare la sicurezza altrui). Nel settembre 2021 aveva lanciato la Global Development Initiative (GDI) per sostenere gli obiettivi ONU 2030 nei Paesi in via di sviluppo, cercando di porsi come leader responsabile per il Sud del mondo. Queste proposte, seppur vaghe, furono accompagnate da gesti clamorosi: uno su tutti, la Cina mediò con successo il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, annunciato a Pechino il marzo 2023.
Questo accordo di portata storica raggiunto grazie alla neutralità e alle buone relazioni di Pechino con entrambe le parti ha notevolmente accresciuto lo status cinese in Medio Oriente, proprio mentre gli USA sono percepiti in parziale disimpegno. Mentre Washington rafforzava legami militari con democrazie storiche, la Cina si proponeva come partner di pace e sviluppo per i Paesi emergenti, sfruttando anche stanchezze e risentimenti verso l'Occidente. Pressione su Taiwan e mari contesi: la Cina proseguì e accentuò la pressione militare nell'Indo Pacifico. Ogni anno stabiliva record di sortite di caccia e bombardieri nella Air Defense Identification Zone (ADIZ) di Taiwan; dopo la visita Pelosi dell'agosto 2022, questa divenne quasi routine quotidiana, mantenendo Taipei e Washington in costante allerta. Nell'agosto 2023, la Cina reagì anche a uno stopover negli USA del vicepresidente taiwanese William Lai con nuove esercitazioni intorno all'isola.
Nel Mar Cinese Meridionale, Pechino continuò ad equipaggiare le isole artificiali con missili e radar, malgrado le proteste vicine. E nel Mar Cinese Orientale intensificò l'attività attorno alle isole Senkaku/Diaoyu (amministrate dal Giappone ma rivendicate dalla Cina). Tutto questo serviva a ribadire capacità e determinazione, sfruttando il fatto che Biden impegnato sul fronte russo e a evitare crisi multiple reagì misuratamente, ad esempio inviando più spesso navi attraverso lo Stretto di Taiwan e consolidando la cooperazione militare con Giappone, Corea del Sud e Filippine (quest'ultima nel 2023 concesse agli USA accesso ampliato a basi militari, mossa accolta con irritazione da Pechino). La Cina dunque preparava il terreno per un futuro in cui la sua superiorità regionale potesse scoraggiare qualsiasi "avventurismo" americano in difesa di Taiwan. Relazione con l'Europa: i cinesi adottarono verso l'UE una diplomazia mista, cercando di evitare un pieno allineamento europeo con l'America.
A periodi di gelo (come dopo le sanzioni reciproche del 2021) seguirono riavvicinamenti tattici: nel novembre 2022 il cancelliere tedesco Scholz fu ricevuto a Pechino (primo leader G7 postpandemia a incontrare Xi) e ottenne la promessa di approvare il vaccino BioNTech per stranieri in Cina, mentre accordi commerciali venivano siglati per BASF e VW. Xi ribadì a Scholz che la Cina "non userà armi nucleari in Ucraina", segnale apprezzato in Europa. Nell'aprile 2023, come detto, Macron e von der Leyen visitarono Pechino: Xi concesse lusinghe a Macron (contratti per Airbus, dichiarazioni congiunte sul rifiuto di guerra nucleare in Ucraina) ma fu freddo con von der Leyen, percepita come più critica. In generale, la Cina tentò di coltivare rapporti bilaterali con i grandi Paesi UE (Germania, Francia, Italia quest'ultima però, col governo Meloni, sta riesaminando la partecipazione alla BRI) e con parti del business europeo (difendendo il suo mercato come opportunità). Allo stesso tempo, in ambito di opinione pubblica, l'ambasciatore cinese a Parigi suscitò scalpore nell'aprile 2023 mettendo in dubbio la sovranità degli Stati postsovietici come l'Ucraina: uscita infelice che fu condannata dall'UE e spinse Pechino a smentire. Ciò evidenziò la tensione tra propaganda (talvolta goffa) e diplomazia ufficiale.
Economia e commercio: per attutire gli effetti della stretta USA, la Cina accelerò sforzi di self reliance (autosufficienza). Il 20º Congresso del Partito Comunista (ottobre 2022) ha sancito la "dual circulation", una strategia economica volta a potenziare il mercato interno e l'innovazione domestica, mantenendo però interazioni con l'esterno. La crescita economica cinese postCovid è stata incostante, ma Pechino ha evitato misure che potessero irritare ulteriormente gli investitori stranieri. Anzi, ha continuato a liberalizzare parzialmente il settore finanziario secondo gli impegni del Phase One Deal .
Verso fine 2023, di fronte a un rallentamento economico interno, Xi ha adottato toni più concilianti per trattenere capitali e knowhow occidentali in Cina, cercando di convincere che non si sta chiudendo. Parallelamente, spinge l'internazionalizzazione dello yuan: nel 2023 la percentuale di regolamenti commerciali cinesi in RMB ha superato quelli in USD per la prima volta, grazie soprattutto ai flussi con Russia, Medio Oriente e Asia. Questo fa parte del disegno di lungo termine di ridurre la presa del dollaro (una "dedollarizzazione" condivisa da altre potenze emergenti, come visto anche nei summit dei BRICS).
Eredità: Alla fine del 2024, con la conclusione del mandato di Biden, il conflitto tra Stati Uniti e Cina si trova in una situazione di competizione controllata. Entrambe le parti riconoscono il pericolo di uno scontro diretto specie dopo aver visto le conseguenze devastanti della guerra in Ucraina e cercano di evitare incidenti fuori controllo (ad esempio riattivando nel 2023 canali di comunicazione militari).
Eppure, nessuna delle questioni di fondo è risolta: Taiwan rimane una bomba a orologeria, la corsa tecnologica è anzi accelerata (e il gennaio 2024 vede la Cina compiere progressi nel produrre chip a nanometri nonostante i divieti USA, secondo rilevazioni di settore), l'ordine mondiale appare sempre più diviso in sfere di influenza.
L'Unione Europea si è avvicinata di più alla posizione americana, ma non vuole rinunciare alla propria autonomia e ha coniato la dottrina del "derisking" come terza via tra ingenuità e confronto frontale. La Cina, da parte sua, si prepara a uno scenario di competizione pluriennale con l'America, confidando nelle sue risorse demografiche ed economiche e puntando ad evitare l'isolamento diplomatico. Questo è il complesso scenario che fa da sfondo all'ultima fase della nostra cronistoria immaginaria: la seconda presidenza Trump .
Con Biden il conflitto USACina è divenuto strutturale ma gestibile; l'Europa si è posizionata più chiaramente pur senza rompere i ponti; la Cina ha consolidato alternative e alleanze per fronteggiare la pressione occidentale. Sul finire del 2024, però, un evento cambia di nuovo le carte in tavola:
Gennaio 2025: Insediamento e Prime Nomine
20 gennaio 2025: Donald Trump presta giuramento come Presidente degli Stati Uniti per il suo secondo mandato. Nomina il senatore della Florida Marco Rubio come Segretario di Stato e il rappresentante Mike Waltz come Consigliere per la Sicurezza Nazionale, entrambi noti per le loro posizioni dure nei confronti della Cina.
Durante l'inaugurazione, il Vicepresidente cinese Han Zheng partecipa come rappresentante speciale del Presidente Xi Jinping, segnalando l'interesse della Cina a mantenere relazioni stabili con gli Stati Uniti.
Febbraio 2025: Escalation Commerciale e Crisi del Fentanil
1 febbraio 2025: Trump firma l'Ordine Esecutivo 14195, dichiarando un'emergenza nazionale per affrontare il traffico di fentanil dalla Cina agli Stati Uniti. Imposta un dazio aggiuntivo del 10% su tutte le importazioni cinesi.
4 febbraio 2025: La Cina risponde con dazi del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% su petrolio, macchinari agricoli e automobili statunitensi. Avvia anche un'indagine antitrust su Google e impone controlli all'esportazione su metalli rari.
Marzo 2025: Intensificazione delle Tensioni
3 marzo 2025: Trump aumenta i dazi sulle importazioni cinesi di un ulteriore 10%, portando il totale al 20%. Introduce anche dazi del 25% su importazioni da Messico e Canada. Wikipedia+3Wikipedia+3Wikipedia+3
4 marzo 2025: La Cina impone dazi del 15% su pollo, grano, mais e cotone statunitensi e del 10% su sorgo, soia, carne suina, bovina, prodotti ittici, frutta, verdura e latticini.
Aprile 2025: Guerra Commerciale Totale
2 aprile 2025: Trump annuncia dazi aggiuntivi del 34% sulle importazioni cinesi, portando il totale al 54%. Dichiara il "Giorno della Liberazione" economica.
4 aprile 2025: La Cina risponde con dazi del 34% su tutte le importazioni statunitensi. Sospende anche le esportazioni di terre rare e lancia un'indagine antimonopolio su DuPont China.
9 aprile 2025: Trump aumenta i dazi sulle importazioni cinesi al 145%. La Cina risponde con dazi del 125% su tutte le importazioni statunitensi.
Maggio 2025: Tregua Temporanea e Nuovi Accordi
12 maggio 2025: Dopo intensi negoziati a Ginevra, Stati Uniti e Cina concordano una riduzione temporanea dei dazi per 90 giorni: gli Stati Uniti abbassano i dazi dal 145% al 30%, mentre la Cina riduce i suoi dal 125% al 10%.
La Cina si impegna a sospendere o rimuovere le misure non tariffarie adottate contro gli Stati Uniti dal 2 aprile 2025.
Trump firma un ordine esecutivo che vieta il finanziamento federale per la ricerca sui virus potenziati (gain-of-function) in paesi come Cina e Iran, citando preoccupazioni sulla sicurezza e l'origine della pandemia di COVID-19.














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